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©Giorez (iStock)
31 Luglio 2024
31 Luglio 2024

Dove la scuola esplora le frontiere del digitale

Le nuove tecnologie e i videogiochi sono agli antipodi dell’education? Per Fabio Viola possono diventare strumenti per veicolare l’apprendimento, e auspica che la scuola possa presto affrontare quest’importante innovazione nella didattica.
Intervista a Fabio Viola, gamification designer, autore e docente
Tempo di lettura: 11 minuti
L’integrazione della tecnologia digitale nel campo dell’educazione sta trasformando i metodi di insegnamento e di apprendimento, con un’attenzione crescente rivolta alle opportunità offerte dai videogiochi, dai social media, dai podcast e dai film interattivi. Il principio del Learning by Doing (modalità di apprendimento basata sull’imparare qualcosa facendolo) teorizzato più di un secolo fa, può oggi fare leva su esperienze immersive completamente nuove, che, secondo molti, favoriscono l’apprendimento pratico, aumentando il coinvolgimento e la memorizzazione a lungo termine. Tuttavia, se da un lato le tecnologie digitali emergenti, come i visori per la realtà virtuale e il metaverso, ampliano le possibilità di simulazione e interattività, dall’altro l’ecosistema scolastico italiano sembrerebbe ancora in una fase di adattamento, con una diffusione disomogenea delle tecnologie e una carenza di formazione per gli insegnanti. In questo contesto, la sfida principale è la creazione di contenuti educativi che sfruttino davvero il potenziale delle nuove tecnologie, con una sinergia tra innovazione tecnologica e cultura umanistica. Ne abbiamo parlato con Fabio Viola, che ha lavorato alla realizzazione di centinaia di videogiochi, tra cui Fifa, The Sims e Tetris, fondatore dell’associazione culturale TuoMuseo, oltre che autore di Father and Son, il primo videogioco al mondo pubblicato da un museo.

Fabio Viola, che rapporto vede tra mondo digitale, a partire dai videogiochi, e il tema dell’educazione?

I videogiochi offrono un’opportunità unica per applicare la metodologia educativa del Learning by Doing poiché, in certi ambiti, permettono di sperimentare direttamente in prima persona, facilitando un apprendimento pratico e immersivo. Diversi giochi oggi disponibili simulano situazioni reali e sfide che mettono alla prova i giocatori in attività pratiche, incoraggiando l’esplorazione e la risoluzione dei problemi. Questo approccio può aiutare a consolidare le informazioni nella memoria a lungo termine, poiché il coinvolgimento diretto e l’interazione attiva rendono l’apprendimento più efficace. I giocatori non solo acquisiscono conoscenze attraverso l’esperienza pratica, ma anche riflettendo sui risultati ottenuti. In questo senso, i videogiochi non dovrebbero essere demonizzati – pur presentando dei rischi a cui prestare attenzione – dato che possono essere utilizzati come potenti strumenti educativi per simulare situazioni complesse e facilitare l’apprendimento esperienziale.

Quali sono le differenze tra i giochi analogici e quelli digitali, considerando anche tecnologie emergenti come il metaverso e i visori di realtà virtuale?

I giochi digitali offrono un’interattività e un coinvolgimento immediato, permettendo esperienze immersive che possono essere accessibili anche da remoto. Questo da un lato facilita l’interazione in tempo reale con altri giocatori, dall’altro permette di simulare contesti geografici e temporali molto variabili. In questo momento le tecnologie come i visori per la realtà virtuale consentono simulazioni ancora più realistiche di ambienti diversi, utili per migliorare i processi di apprendimento attraverso feedback immediati e un coinvolgimento psicofisico più ampio. Viceversa, i giochi analogici hanno tempi di feedback più lenti e richiedono spesso la presenza fisica, limitando la possibilità di interazione immediata e l’apprendimento contestuale.

scuola e digitale

©Nimito (iStock)

Quanto è pronto l’ecosistema scolastico italiano ad accogliere simili tecnologie innovative nei processi di insegnamento? E ci sono differenze in base all’età, al tipo di scuola o ad altri fattori?

Il sistema scolastico nel nostro Paese è attualmente segnato da un’adozione delle tecnologie digitali innovative a macchia di leopardo, spesso lasciata alla curiosità e all’intraprendenza dei singoli docenti. Sebbene negli ultimi anni, grazie ai fondi disponibili, le scuole abbiano avuto la possibilità di migliorare la propria dotazione tecnologica, il vero problema risiede nella mancanza di standard nazionali uniformi e di personale adeguatamente formato per sfruttare al meglio queste tecnologie. L’innovazione tecnologica richiede figure professionali capaci di utilizzarla efficacemente (al momento molte aule laboratoriali restano sottoutilizzate). La sfida principale è, quindi, non solo la disponibilità di tecnici che mantengano l’hardware funzionante, ma anche l’instaurarsi di una collaborazione strutturata e continua tra gli specialisti in videogiochi e intelligenza artificiale e i docenti, per creare nuovi metodi di insegnamento. Questo richiede un lavoro lungo e coordinato, oltre che una riflessione sugli organici delle scuole, anche perché l’approccio all’integrazione tecnologica varia a seconda delle fasce d’età e del tipo di scuola.

Nelle scuole primarie è riconosciuta l’importanza della componente analogica e sinestesico-sensoriale dell’apprendimento, con un’esposizione tecnologica limitata. Nelle scuole secondarie superiori, soprattutto negli istituti tecnici, la tecnologia diventa, invece, cruciale per simulare esperienze pratiche che altrimenti sarebbero di difficile accesso. Per esempio, la realtà virtuale permette un allenamento quotidiano in contesti tecnici come le operazioni a bordo di una nave o di un aereo, esperienze che altrimenti sarebbero disponibili solo occasionalmente. Anche nelle facoltà umanistiche la tecnologia può essere integrata per l’insegnamento della storia o della letteratura, ma l’urgenza e l’impatto sono minori rispetto alle realtà formative che richiedono la presenza massiccia di attività sperimentali e laboratoriali.

La chiave è capire come ogni mezzo possa contribuire all’apprendimento e come integrarlo in un media mix che tenga conto di età, obiettivi e contenuti.

Secondo lei il collo di bottiglia nello sviluppo delle piattaforme educative è rappresentato dall’innovazione tecnologica o dalla strutturazione culturale e didattica dei contenuti?

Sebbene le tecnologie siano diventate estremamente semplificate rispetto a vent’anni fa, grazie a strumenti come i software di sviluppo e l’Intelligenza Artificiale che velocizzano molte parti tecniche, la sfida rimane nell’ideazione e nella creazione dei contenuti. La progettazione di esperienze educative digitali richiede, infatti, una visione umana per concepire il gioco, scriverne la storia e creare esperienze interattive significative. Questo processo creativo non può essere facilmente insegnato con un corso o un percorso di laurea, dato che la creatività e la curiosità restano elementi fondamentali e insostituibili. Pertanto, mentre la tecnologia ha compiuto passi da gigante, il vero ostacolo a mio parere risiede nella capacità di strutturare contenuti didattici che sfruttino appieno queste innovazioni tecnologiche. Per questo motivo, la sinergia tra tecnologia e cultura umanistica è fondamentale per promuovere lo sviluppo di modelli didattici sempre più virtuosi.

Mentre un tempo esistevano solo pochi modi per esprimere idee, oggi abbiamo una pluralità di tecnologie che permettono varie modalità di trasmissione culturale. Questa diversificazione tecnologica non solo amplia le possibilità di espressione, ma accelera anche il ritmo del cambiamento. Tuttavia, la tecnologia da sola non è sufficiente: per esempio, l’Intelligenza Artificiale generativa, considerata un’applicazione ad alta tecnologia, dipende dalla qualità e dalla quantità del lessico usato per impartire i comandi. Un vocabolario ampio e una solida cultura umanistica permettono di ottenere output più performanti e vicini all’intento originale. In Italia, dove la tradizione umanistica è particolarmente forte, questa sinergia è ancora più rilevante.

©Elenakirey (iStock)

In che modo, secondo lei, strumenti digitali come social media, podcast, film interattivi stanno cambiando la prospettiva di fare cultura? E quali hanno più potenzialità nell’apprendimento?

Ogni tecnologia offre modalità diverse di trasmissione dei contenuti, con vantaggi e svantaggi specifici che devono essere conosciuti e sfruttati al meglio. I social media, per esempio, permettono una diffusione rapida e interattiva di contenuti, ma possono anche promuovere distrazioni e superficialità. I podcast offrono un apprendimento flessibile e spesso coinvolgente, sebbene possano risultare meno immersivi rispetto ai video o ad attività che richiedono maggiore partecipazione. I film e le esperienze interattive, come i videogiochi, combinano elementi visivi e narrativi che possono aumentare il coinvolgimento e la comprensione attraverso la simulazione e l’interazione.

Ogni strumento ha le proprie peculiarità: i libri tradizionali spingono al monotasking e alla concentrazione totale, mentre i podcast e i video possono essere consumati in modalità multitasking. La chiave è capire come ogni mezzo possa contribuire all’apprendimento e come integrarlo in un media mix che tenga conto di età, obiettivi e contenuti. Le iniziative educative all’avanguardia spesso combinano queste tecnologie per creare percorsi di apprendimento più dinamici e completi, sfruttando i punti di forza di ciascuno strumento per raggiungere risultati educativi ottimali.

di Gianluca Dotti

Fabio Viola

Fabio Viola è tra i più influenti gamification designer del mondo. Ha lavorato per multinazionali del videogioco come Electronic Arts Mobile e Vivendi Games su titoli come Fifa, The Sims, Crash Bandicoot, Harry Potter. È direttore scientifico Area Gaming della Scuola Internazionale di Comics di Firenze, e docente a contratto per diverse università e accademie. Con il collettivo TuoMuseo ha realizzato i videogiochi culturali Father and Son per il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, A Life in Music con il Teatro Regio di Parma, Past for Future per il Marta di Taranto e The Medici Game per le Gallerie degli Uffizi, e ha coordinato il progetto di turismo videoludico PlayAghero. È autore e curatore di numerosi saggi, tra cui L’arte del coinvolgimento (Hoepli 2017), PLAY. Videogame, arte ed oltre (Sagep 2002) e #GameDesigner (Franco Angeli 2023).