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©Giacomo Vallarino. Alcuni scatti durante una performance di lettura ad alta voce durante il festival Futuro Prossimo
20 Giugno 2024
21 Giugno 2024

Lettura ad alta voce per allenare l’apprendimento

Federico Batini, tra i massimi esperti di lettura e metodi narrativi, docente di Pedagogia, spiega come leggere ad alta voce presenti innumerevoli vantaggi per il cervello, sia quello provato da malattie degenerative sia, soprattutto, quello dei più giovani.
Intervista a Federico Batini, docente di Pedagogia e ideatore dei metodi dell’orientamento narrativo e della lettura ad alta voce condivisa
Tempo di lettura: 12 minuti
«Leggere storie è incredibile, è fantastico e fa naturalmente parte di noi». Mentre Federico Batini dice queste parole si comprende perché il suo lavoro ruoti in gran parte attorno alla lettura. Professore associato presso il dipartimento di Filosofia, Scienze sociali, umane e della formazione dell’Università di Perugia, insegna Pedagogia sperimentale, Metodologia della ricerca educativa, Metodi e tecniche della valutazione scolastica e Lettura ad alta voce. Ma soprattutto ha ideato e sviluppato il metodo dell’orientamento narrativo e il metodo della lettura ad alta voce condivisa ed è stato ed è responsabile scientifico di progetti importanti come Leggimi ancora; Lettrici e lettori forti; Ad Alta voce; Leggere: Forte! Ad alta voce fa crescere l’intelligenza.

Professor Batini, che cos’è la pedagogia sperimentale?

La pedagogia sperimentale è quella parte della ricerca educativa che si occupa di mettere alla prova pratiche didattiche, valutative, di relazione, dei metodi all’interno dei contesti di istruzione e di tutti i contesti di apprendimento per verificarne gli effetti. La caratteristica di questa disciplina è l’attenzione alla raccolta di evidenze. Semplificando, ci si preoccupa di raccogliere evidenze di tipo quantitativo (dati, esiti di prove…), ma anche voci, punti di vista di chi è stato coinvolto dall’esperimento (qualitativo). Rispetto ad altre aree più legate alla riflessione sull’educazione, la pedagogia sperimentale agisce prevalentemente sul campo ed è interessata alla verifica dell’efficacia.

In Italia si fa molta confusione in questo campo: si pensa che di scuola possa parlare chiunque perché ne ha avuto esperienza diretta. Certo è bene che tutti si interessino di scuola e persino che ne parlino, ma non tutti ne sono esperti e l’opinione di qualcuno vale come tale. Non possiamo prendere la nostra esperienza personale come assoluta e farla diventare regolativa per gli altri.

Come la ricerca sull’alimentazione va a controllare quali effetti hanno determinati cibi su salute, peso, pelle ecc., altrettanto si fa con le metodologie didattiche. Negli anni Ottanta e Novanta nella scuola si riteneva che l’apprendimento degli scacchi come pratica didattica fosse utile per sviluppare e rafforzare le abilità logico-matematica. Le evidenze raccolte ci hanno invece detto che giocare a scacchi fa bene a… giocare a scacchi e probabilmente ad altro, ma non incide sul rendimento in matematica. Le abilità acquisite sembrano essere non trasferibili. Rimanendo sull’esempio, fare ricerca sperimentale vuol dire questo: analizzare i risultati in matematica di chi ha giocato a scacchi prima e dopo, confrontarli con quelli di chi non ha giocato, raccogliere le evidenze e unirle al punto di vista dei giocatori, di chi ha insegnato a giocare a scacchi ecc. per una maggiore comprensione.

La sua ricerca si concentra molto sul metodo della lettura ad alta voce “condivisa”. Di che cosa si tratta?

Quando si parla di lettura ad alta voce condivisa si parla di lettura integrale di storie fatta dagli insegnanti per bambini e bambine, ragazzi e ragazze, studentesse e studenti in modo progressivo, con attenzione alla bibliovarietà e con studenti e studentesse al centro.

Essere esposti in maniera continuativa alle storie risulta essere un incredibile motore di sviluppo e un fattore protettivo rispetto a molte dimensioni. I nostri primi studi li abbiamo fatti non in ambito educativo-scolastico, ma con anziani affetti dal morbo di Parkinson o malati di Alzheimer. Abbiamo dimostrato che già dopo quaranta giorni di lettura riuscivamo a invertire la curva di caduta cognitiva, con conseguenze sugli aspetti cognitivi ma soprattutto sui depositi di memoria.

Nel gruppo di ricerca dell’Università di Perugia ci siamo quindi chiesti: ma se una pratica come questa è in grado di contenere il deterioramento cognitivo degli anziani, che effetti potrebbe avere su un cervello in via di sviluppo? Da allora abbiamo avviato molte sperimentazioni e abbiamo codificato un metodo che si chiama “Lettura ad alta voce condivisa” che attualmente viene seguito da circa 25.000-30.000 insegnanti italiani e che consiste nell’utilizzo della lettura con una frequenza molto alta, se possibile quotidiana. Si leggono racconti e romanzi, non saggi né materiale informativo, ed è sempre l’insegnante a leggere. Abbiamo scoperto che attraverso la lettura ad alta voce è possibile alzare le funzioni cognitive di base e l’intelligenza verbale, con conseguenze positive sia sulla vita quotidiana sia sul rendimento scolastico. Inoltre, ha effetti incredibili sulle competenze emotive: capacità di riconoscere e dare un nome alle proprie emozioni, capacità di riconoscere le emozioni degli altri anche dai segni non verbali, capacità di gestire le proprie emozioni. Incide sulle abilità di pensiero critico. Addirittura, nei bambini piccoli abbiamo rilevato effetti sullo sviluppo motorio (motorio grosso e motorio fine).

Acquisire queste competenze ha un effetto sulla vita quotidiana, ma serve anche per approfittare davvero dell’opportunità di apprendimento e ha conseguenze dirette sul rendimento scolastico.

Non è finita qui. Molti si trasformano in lettori autonomi. Un lettore ha un’aspettativa di vita più alta, minori probabilità di incorrere in degenerazione cognitiva, maggiori probabilità in più di avere un percorso formativo più lungo, strutturato e connotato dal successo, maggiori probabilità di trovare un’occupazione che soddisfi le proprie aspirazioni, un reddito più alto in tutto il corso della vita. Vogliamo trovare altre motivazioni?

Abbiamo scoperto che attraverso la lettura ad alta voce è possibile alzare le funzioni cognitive di base e l’intelligenza verbale con conseguenze positive sulla vita quotidiana e sul rendimento scolastico.

Lei prima ha nominato due patologie. Ma perché viene coinvolta anche la memoria?

Perché progressivamente si inizia a leggere qualcosa che non si esaurisce nella singola sessione – pensiamo a un romanzo che continua negli appuntamenti successivi. La storia comporta il desiderio di sapere come andrà avanti, e implica l’esercizio dei depositi di memoria che vengono sollecitati e così allenati. La lettura è, letteralmente, una palestra per il cervello.

Dove applicate queste pratiche?

L’associazione Nausika si occupa di formare, rappresentare e sostenere tutti gli insegnanti che leggono ad alta voce. Poi esiste l’associazione nazionale LaAV (Letture ad Alta Voce), presieduta da Martina Evangelista, che raccoglie 1300 volontari che vanno nelle RSA, negli ospedali, nei centri per minori a leggere per gli altri.

Da un punto di vista più tecnico-scientifico, abbiamo creato un Master di Lettura ad alta voce nei vari contesti di scuola, sanitario assistenziale, di riabilitazione, ma anche organizzativo. L’anno scorso per la prima volta è nato all’Università di Perugia, in partenariato con gli atenei di Bologna e di Modena e Reggio Emilia, un dottorato di ricerca in Educazione alla lettura. Effetti e benefici della lettura e della lettura ad alta voce.

L’anno scorso è anche partito un PRIN (Progetto di ricerca di interesse nazionale) che sistematizzerà tutti i dati sugli effetti che abbiamo raccolto per la fascia undici-quattordici anni, che è tra le più critiche perché nei due anni successivi si concentra il fenomeno della dispersione scolastica.

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È vero che in Italia si legge sempre meno?

In Italia si legge sempre poco, ma le percentuali non variano di molto. Per esempio: si tende a dire che “i ragazzi di oggi non leggono più come quelli di una volta”. Ma questo lo dicono gli adulti. E qual è la fascia di popolazione che legge meno? Gli adulti. Qual è la fascia di popolazione che legge di più? I giovani tra undici e quattordici anni.

Siamo un Paese di tardissima alfabetizzazione. Vorrei ricordare che ci siamo alfabetizzati nel secondo dopoguerra e che nel 1950 avevamo la stessa percentuale di analfabeti che aveva la Prussia un secolo prima. Nei Paesi di recente alfabetizzazione e di alfabetizzazione medio-bassa della popolazione si legge poco. Non è pensabile incrementare le percentuali di lettrici e lettori con azioni di promozione della lettura senza una vera e propria educazione alla lettura. Da questo discende anche il nostro sviluppo: ce lo ricorda anche la Banca Mondiale che oltre il 50% del PIL di un Paese è legato alla literacy della sua popolazione.

In Italia legge circa il 75% dei giovani che hanno entrambi i genitori lettori e meno del 35% di coloro che non hanno genitori lettori. Un altro fattore che condiziona la possibilità di diventare un lettore è il numero di libri presenti in casa e l’esposizione in età infantile alla lettura di genitori, nonni, parenti. Per questo occorre agire nel contesto educativo e di istruzione.

Secondo lei perché si smette di leggere? E in che modo la lettura ad alta voce può aiutare?

 

Le persone non leggono perché lo trovano noioso. Non tutti gli adulti hanno sviluppato capacità di immaginazione, quindi se non riesci a “vedere” quando leggi, il tipo di coinvolgimento è totalmente diverso. Altri adulti, compresi quelli con livelli di istruzione medio-alti, hanno livelli di abilità di decodifica estremamente bassi. Se per leggere una pagina di libro faccio fatica e impiego un quarto d’ora, la storia diventa difficile da seguire.

Un altro degli effetti della lettura ad alta voce è alzare le abilità di lettura autonoma. A scuola vengono normalmente assegnati libri da leggere nelle vacanze. Chi li leggerà davvero? Quelli che avrebbero letto comunque ma che magari avrebbero scelto da soli il libro, magari optando per qualcosa di più adatto a loro.

Una domanda che dovremmo porci è perché quelli che non leggono si guardano magari dieci puntate di una serie in un giorno? Perché tutte le generazioni hanno fame di storie. Ci sono culture in cui non esiste il pensiero logico così come lo pensiamo in Occidente, ma non ci sono culture in cui non esiste il pensiero narrativo.

È importante una democrazia cognitiva, ovvero che per tutti i bambini e le bambine per tutti i ragazzi e le ragazze sia possibile sfruttare l’occasione straordinaria di crescita offerta da un sistema di istruzione pubblico e gratuito.

Che ruolo ha la persona che legge ad alta voce e perché si parla di lettura condivisa?

Con la mediazione di un insegnante la classe riesce a trovare storie che “funzionano” per tutti dal punto di vista dei temi ma anche dal punto di vista dell’accesso, del livello cognitivo.

La socializzazione, poi, è un momento fondamentale del metodo che segue la lettura ad alta voce, e in cui ognuno può esprimere la propria opinione, qualunque essa sia, su quello che si è letto. Abbiamo codificato una serie di domande e di “aree stimolo” che hanno una caratteristica in comune abbastanza importante: sono domande aperte, non esiste la risposta giusta. Quando poi gli studenti si abituano, non è più necessario fare le domande. Si sarà creato quell’ambiente di fiducia in cui è chiaro che qualsiasi cosa venga detta viene non solo accolta ma anche valorizzata.

Perché secondo lei è importante fare questo a scuola?

Perché con così tante famiglie con zero o pochissimi libri in casa, con una quantità enorme di adulti illetterati, qual è l’unico luogo in cui la lettura può diventare fattore equitativo e protettivo? Il contesto scolastico. Come si fa? Leggendo in modo sistematico storie ad alta voce.

Ed è l’unica didattica accessibile e relativamente semplice che al momento conosciamo che è in grado di agire contemporaneamente su tutti. Quindi la domanda non è perché, ma perché no? Esiste un altro modo di occupare il tempo a scuola che sia più redditizio e meno manipolatorio? Perché leggendo tante storie varie aumentano anche le capacità di pensiero critico. Si insegna “a pensare”, insomma, non “cosa pensare”.

Se non si lavora su queste abilità, l’occasione di apprendimento fornita a scuola è in realtà riservata a pochi, soltanto a coloro che arrivano con un apparato strumentale già alto. Invece è importante una democrazia cognitiva, ovvero che per tutti i bambini e le bambine per tutti i ragazzi e le ragazze sia possibile sfruttare l’occasione straordinaria di crescita offerta da un sistema di istruzione pubblico e gratuito.

di Cecilia Toso

Federico Batini

Federico Batini è professore associato presso il dipartimento di Filosofia, Scienze sociali, umane e della formazione dell’Università di Perugia, dove insegna Pedagogia sperimentale, Metodologia della Ricerca Educativa, Metodi e tecniche della valutazione scolastica e Lettura ad alta voce. È autore di oltre quattrocento pubblicazioni scientifiche, dirige le riviste “Effetti di Lettura” (Cepell) e “Lifelong Lifewide Learning” (Edaforum), e di numerosi saggi, tra cui si segnalano i più recenti Leggimi ancora. Lettura ad alta voce e life skills (Giunti scuola 2018), Ad alta voce. La lettura che fa bene a tutti (Giunti 2021), Lettura ad alta voce (Carocci 2022), e La lettura ad alta voce condivisa. Un metodo in direzione dell’equità (a cura di il Mulino 2023).