Come si prepara un insegnante della primaria al ritorno a scuola, e soprattutto come prepara
i suoi studenti? Come rendere la scuola un posto bello dove i bambini siano felici di tornare?
I bambini hanno il problema di essere riconosciuti: non tutti riescono a “entrare” subito a scuola, nel senso di entrare con tutto se stesso, avere fiducia nel fatto che la scuola sia un posto dove possono esprimersi per come sono. C’è chi entra dopo una settimana, dopo un mese, dopo parecchi mesi. Per aiutare questo processo si possono fare attività espressive, si può giocare con le parole, dipingere, esplorare un giardino, cantare insieme. L’importante è che i bambini possano portare qualcosa di sé in quel luogo. Ma questo funziona se anche l’insegnante porta qualcosa di sé. Il consiglio che mi sento di dare è di portare qualcosa che all’insegnante piaccia molto. Mostrare da subito il proprio amore per la conoscenza, per la cultura, per il sapere.
Uno dei cardini della sua pedagogia si basa sulla necessità di far sì che l’educazione non consista nell’impartire lezioni che gli studenti sappiano poi ripetere, ma che aiuti gli studenti a conquistare da se stessi il vero. Una necessità che si fa sempre più pressante, di fronte a generazioni di studenti bombardati dalle verità precostituite dei social network e delle tecnologie? Come applicare questa sua convinzione pedagogica di fronte a bambini che spesso hanno già uno smartphone in mano sin dalla scuola primaria?
La cronaca recente (vedi il caso di Caivano) ci mette di fronte a una realtà in cui la scuola si pone come unico presidio di legalità e di bellezza, ma che non riesce a supplire a tutte le altre mancanze. Che cosa serve? Più insegnanti specializzati? Più finanziamenti? Ma i finanziamenti sono sufficienti a colmare queste carenze?
Se facciamo qualcosa che suscita l’attenzione dei bambini e delle bambine, operiamo un controcanto rispetto all’eccessiva presenza tecnologica. Se le famiglie non credono nella scuola e nella cultura come luogo di miglioramento della propria vita, è difficile chiedere a bambini e ragazzi di impegnarsi.
I più recenti test INVALSI (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione) testimoniano che uno studente su due esce dalle superiori senza avere le competenze adeguate in matematica e quelle di base per comprendere quello che legge. E le prime crepe si notano già alla primaria, quella che finora per noi aveva sempre rappresentato un’eccellenza. La preoccupano questi dati?
La pandemia, appunto. Bambini e ragazzi vengono dall’esperienza durissima del Covid, che ha sconvolto ogni certezza. Poi cresce l’incertezza del futuro a causa dei cambiamenti climatici, e tutti i giorni vediamo in TV scorrere le immagini delle guerre in corso. Quelli di oggi sono bambini più ansiosi di un tempo? E come aiutarli ad affrontare queste sfide così importanti senza perdere fiducia nel futuro? Anzi, rendendosi protagonisti del cambiamento?
Bisogna parlarne, discuterne, ragionarci sopra insieme, imparare a fare statistiche, capire che cosa succede. Faccio un esempio: per un anno ho lavorato con i miei bambini sull’immigrazione, ma facendo matematica e statistica, quindi costruendo cartine, plastici sul Mediterraneo. Quello che impariamo a scuola ci serve per capire di più il mondo. Dobbiamo comprendere che il mondo dei bambini non sta in un luogo separato ma in mezzo a quello che accade. In merito alla pandemia, è vero che l’abbiamo superata, però se a livello collettivo abbiamo rimosso quanto successo, singolarmente i bambini ne hanno memoria. Per due anni è stato tolto a bambini e giovani il corpo, che è lo strumento conoscitivo più forte, e ciò li ha portati a vivere un senso di solitudine aggravata, perché sebbene non si parli più del Covid quel trauma c’è. Ed è un delitto non accorgersene.
Per approfondire: Casa-laboratorio di Cenci
©Cenci Casa-laboratorio
Franco Lorenzoni
Franco Lorenzoni è un maestro elementare oggi in pensione. Ha fondato il centro di sperimentazione educativa e artistica Casa-laboratorio di Cenci (ad Amelia, in Umbria) ispirato ai principi del Movimento di Cooperazione educativa, che tuttora coordina insieme all’insegnante e attivista Roberta Passoni. Ha diretto il documentario Elementare e collaborato ai documentari L’acqua tra cielo e terra (regia di Antonello Branca, 1985) e È meglio che pensi la tua, dedicato al suo ultimo anno di insegnamento (regia di Davide Vavalà, 2019) È autore di diversi libri, il più recente è Educare controvento. Storie di maestre e maestri ribelli (2023).