Che cosa rappresenta, secondo lei, l’intelligenza artificiale nella nostra società?
Credo che l’AI sia la più grande rivoluzione culturale e forse antropologica che l’essere umano abbia mai affrontato. Io amo confrontarla con due grandi pilastri della nostra evoluzione. La prima è l’invenzione della scrittura, che nasce all’incirca tremila anni fa, quando Homo sapiens diventa Homo sapiens sapiens. La scrittura con il suo arrivo genera una reazione, così come sta suscitando oggi l’intelligenza artificiale. Tant’è che nel Fedro – scritto nel 400 a.C. quando la scrittura era già cosa acquisita – Platone fece un’invettiva affermando che la scrittura avrebbe privato l’umanità di quel grande strumento col quale operano i filosofi, cioè la memoria. La cosa ironica, però, è che Platone queste cose le fece dire a Socrate, e le scrisse.
La seconda invenzione è la stampa a caratteri mobili, che ci ha dato quello strumento incredibile nella storia dell’umanità che è il libro. L’AI sarà di più: è in qualche modo la fine di quel percorso che include il digitale e il computer. Una grandissima rivoluzione che come tutte le altre tocca il sistema dell’educazione.
A questo proposito, quali cambiamenti ci aspettano nel prossimo futuro?
Se consideriamo le tappe in cui l’ominide diventa uomo (300.000 anni fa homo, 30.000 anni fa Homo sapiens, 3.000 anni fa Homo sapiens sapiens) è plausibile pensare che quello che noi stiamo vedendo siano i primi passi di uno di questi salti evolutivi, che ci porterà a Homo sapiens sapiens sapiens. L’intelligenza artificiale faciliterà questo passaggio perché è integrata nell’uomo, tutti noi ormai abbiamo il cellulare: una “protesi” che ci accompagna da tutte le parti e che ha già cambiato la nostra vita, soprattutto a causa della connettività. Ha cambiato la nostra definizione delle cose, anche dei sentimenti e di ciò che significa insegnare.
Un tempo, prima di diventare Homo sapiens, l’essere umano puniva i ragazzi che esercitavano la fantasia. Lo scopo dell’educazione era infatti trasmettere alle generazioni successive quelle conoscenze che avrebbero reso migliore la loro vita ma erano state apprese per caso, come è successo per esempio con il fuoco. Il pensiero razionale era considerato un nemico da combattere: il cervello umano nasce come organo di difesa dell’organismo, mentre il pensiero razionale sposta l’attenzione su cose astratte, che non hanno nulla a che fare con la sicurezza dell’organismo. Solo Homo sapiens sapiens ha iniziato a presentare la razionalità come un obiettivo importante.
L’AI ci fa cambiare il concetto di verità e di conoscenza, sta toccando il nostro profondo. E quindi non potrebbe non toccare la scuola. I ragazzi sono ignari di essere all’interno di questo processo evolutivo, ma si impadroniscono a una velocità incredibile degli strumenti a loro disposizione perché non hanno pregiudizi con i quali fare i conti.
L’AI ci fa cambiare il concetto di verità e di conoscenza, sta toccando il nostro profondo. E quindi non potrebbe non toccare la scuola.
In questo scenario di grandi trasformazioni, qual è il ruolo dell’insegnante e che tipo di atteggiamento dovrebbe avere nei confronti dell’uso dell’AI a scuola?
Pensa che sia il caso di inserire nuove materie scolastiche, proprio per insegnare agli studenti a utilizzare al meglio questo potente strumento?
Pensa che abbia senso nutrire un qualche tipo di timore nei confronti di questa tecnologia così potente e del futuro che ci aspetta?
Insegnerei a ricordare che il cervello umano è la più straordinaria macchina esistente nell’universo conosciuto, e che non è replicabile. Io non amo chiamarla intelligenza artificiale. Non è un’intelligenza. Sono macchine intelligenti che fanno quello che le macchine hanno sempre fatto: sostenere e potenziare l’uomo in alcune attività. Noi dobbiamo insegnare ai ragazzi – dai bambini all’università – a usare questo strumento, non averne paura ed essere pronti a crescere con lo strumento, che evolve e noi dobbiamo evolvere con lui.
Non condivido chi pensa che l’AI prenderà il sopravvento su di noi, che questa macchina, che l’uomo ha costruito e che migliora velocemente, debba all’improvviso diventare un pazzo sociopatico.
L’intelligenza di ChatGPT non è paragonabile a quella umana, eppure in qualcosa sono simili: anche l’AI, così come l’essere umano, a volte sbaglia.
La creatività, che è tipica dell’essere umano, rileva l’improbabile e lo valorizza; l’originalità rompe i paradigmi, mentre la macchina ha dei paradigmi ben precisi ai quali non può sfuggire.
Abbiamo visto che il binomio “buono o cattivo” non regge, dal momento che stiamo parlando di uno strumento, e anche che non dobbiamo temere scenari fantascientifici di intelligenze artificiali che sostituiscono gli esseri umani o prendono il controllo del mondo. Ci sono comunque degli aspetti legati all’AI che presentano delle criticità e sui quali dovremmo invitare i più giovani a riflettere?
Mario Rasetti
Mario Rasetti (Torino, 23 luglio 1941) è Professore Emerito di Fisica Teorica al Politecnico di Torino, di cui ha fondato e diretto per molti anni la Scuola di Dottorato. È stato Presidente della Fondazione ISI – Istituto per l’Interscambio Scientifico, ed è consigliere della Commissione Europea. Ha trascorso oltre quindici anni di carriera negli Stati Uniti (IAS Princeton, Los Alamos, CTS Coral Gables, RIM Berkeley, NYU New York), nel Regno Unito (Oxford), in Svezia (CTH) e in Francia (ENS Paris). Ha vinto il premio Majorana 2011 per la fisica dei campi e la medaglia Volta. Si occupa di meccanica statistica, informazione e computazione quantistica e Big Data, ed è attualmente Presidente del comitato scientifico del CENTAI.