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©iStock(Whatawin)
27 Maggio 2024
27 Maggio 2024

La scuola ha un grande compito. L’AI può dare una mano?

Presenza sempre più rilevante della nostra quotidianità, l’intelligenza artificiale affascina e spaventa. Quali le potenzialità e i rischi? Quali le applicazioni nell’insegnamento? Ne parliamo con Mario Rasetti, tra i massimi esperti di nuove tecnologie.
Intervista a Mario Rasetti, scienziato, Professore Emerito di Fisica Teorica al Politecnico di Torino e Presidente del comitato scientifico del CENTAI
Tempo di lettura: 9 minuti
L’AI (Artificial Intelligence, intelligenza artificiale), sempre più diffusa e rilevante in diversi aspetti della vita quotidiana, è ormai arrivata anche a scuola. Con applicazioni in grado di svolgere compiti come scrivere il riassunto di un testo o aiutare a studiare per una verifica, l’AI sta infatti cambiando il modo di insegnare e apprendere. Mario Rasetti, Professore Emerito di Fisica Teorica al Politecnico di Torino e Presidente del comitato scientifico del CENTAI, centro di ricerca avanzata sull'AI, racconta questa “grande rivoluzione culturale e antropologica”, riflettendo su come questa tecnologia stia trasformando la nostra società e, in particolare, il sistema educativo.

Che cosa rappresenta, secondo lei, l’intelligenza artificiale nella nostra società?

Credo che l’AI sia la più grande rivoluzione culturale e forse antropologica che l’essere umano abbia mai affrontato. Io amo confrontarla con due grandi pilastri della nostra evoluzione. La prima è l’invenzione della scrittura, che nasce all’incirca tremila anni fa, quando Homo sapiens diventa Homo sapiens sapiens. La scrittura con il suo arrivo genera una reazione, così come sta suscitando oggi l’intelligenza artificiale. Tant’è che nel Fedro – scritto nel 400 a.C. quando la scrittura era già cosa acquisita – Platone fece un’invettiva affermando che la scrittura avrebbe privato l’umanità di quel grande strumento col quale operano i filosofi, cioè la memoria. La cosa ironica, però, è che Platone queste cose le fece dire a Socrate, e le scrisse.

La seconda invenzione è la stampa a caratteri mobili, che ci ha dato quello strumento incredibile nella storia dell’umanità che è il libro. L’AI sarà di più: è in qualche modo la fine di quel percorso che include il digitale e il computer. Una grandissima rivoluzione che come tutte le altre tocca il sistema dell’educazione.

A questo proposito, quali cambiamenti ci aspettano nel prossimo futuro?

Se consideriamo le tappe in cui l’ominide diventa uomo (300.000 anni fa homo, 30.000 anni fa Homo sapiens, 3.000 anni fa Homo sapiens sapiens) è plausibile pensare che quello che noi stiamo vedendo siano i primi passi di uno di questi salti evolutivi, che ci porterà a Homo sapiens sapiens sapiens. L’intelligenza artificiale faciliterà questo passaggio perché è integrata nell’uomo, tutti noi ormai abbiamo il cellulare: una “protesi” che ci accompagna da tutte le parti e che ha già cambiato la nostra vita, soprattutto a causa della connettività. Ha cambiato la nostra definizione delle cose, anche dei sentimenti e di ciò che significa insegnare.

Un tempo, prima di diventare Homo sapiens, l’essere umano puniva i ragazzi che esercitavano la fantasia. Lo scopo dell’educazione era infatti trasmettere alle generazioni successive quelle conoscenze che avrebbero reso migliore la loro vita ma erano state apprese per caso, come è successo per esempio con il fuoco. Il pensiero razionale era considerato un nemico da combattere: il cervello umano nasce come organo di difesa dell’organismo, mentre il pensiero razionale sposta l’attenzione su cose astratte, che non hanno nulla a che fare con la sicurezza dell’organismo. Solo Homo sapiens sapiens ha iniziato a presentare la razionalità come un obiettivo importante.

L’AI ci fa cambiare il concetto di verità e di conoscenza, sta toccando il nostro profondo. E quindi non potrebbe non toccare la scuola. I ragazzi sono ignari di essere all’interno di questo processo evolutivo, ma si impadroniscono a una velocità incredibile degli strumenti a loro disposizione perché non hanno pregiudizi con i quali fare i conti.

L’AI ci fa cambiare il concetto di verità e di conoscenza, sta toccando il nostro profondo. E quindi non potrebbe non toccare la scuola.

In questo scenario di grandi trasformazioni, qual è il ruolo dell’insegnante e che tipo di atteggiamento dovrebbe avere nei confronti dell’uso dell’AI a scuola?

Non c’è bisogno di pensare all’AI come un nemico. È uno strumento prezioso e importante e cresceremo insieme. La condizione necessaria è che l’essere umano controlli questo processo. L’AI come tutte le innovazioni tecnologiche si presterà ad applicazioni “cattive” e applicazioni “buone”. Io sono un fisico teorico e tutti i miei maestri hanno partecipato al progetto Manhattan, e tutti ci dicevano “attenti che con questo strumento si può curare il cancro ma anche fare bombe”. Il controllo va spostato, quindi anche a livello formativo. L’educatore deve sapere che l’AI è uno strumento dinamico, che impara a sua volta: nel momento in cui gli si fa fare il ruolo dell’educatore, la macchina si addestra e incorpora delle capacità in più. Il docente si troverà a usare uno strumento che non è il libro scritto da commentare. Ma avrà a che fare con un iperlibro – la biblioteca di riferimento di ChatGPT si stima infatti essere intorno ai cinquanta milioni di volumi – e deve insegnare agli allievi un modo efficiente per lavorare insieme con questo strumento, al quale adulti e ragazzi reagiscono in maniera diversa.

Pensa che sia il caso di inserire nuove materie scolastiche, proprio per insegnare agli studenti a utilizzare al meglio questo potente strumento?

Tutti si aspettano che io pensi che sia necessario insegnare a scuola programmazione e computer science. Ma si può guidare un’automobile anche senza sapere come funziona il ciclo del diesel. La didattica ha il compito di sempre: insegnare la libertà, a essere curiosi, originali ma anche rigorosi, coerenti e quindi avere una forte etica di riferimento. Dobbiamo insegnare agli studenti a essere cittadini che dispongono di uno strumento meraviglioso e come imparare a usarlo. Si potrebbe certamente pensare di inserire lo studio dei codici di programmazione, che è come una lingua straniera, con tutte le sue regole. Ma è sui valori che dobbiamo puntare, perché abbiamo bisogno di cittadini che sappiano vivere in un contesto complesso.
AI e scuola, intervista a Mario Rasetti

Pensa che abbia senso nutrire un qualche tipo di timore nei confronti di questa tecnologia così potente e del futuro che ci aspetta?

Insegnerei a ricordare che il cervello umano è la più straordinaria macchina esistente nell’universo conosciuto, e che non è replicabile. Io non amo chiamarla intelligenza artificiale. Non è un’intelligenza. Sono macchine intelligenti che fanno quello che le macchine hanno sempre fatto: sostenere e potenziare l’uomo in alcune attività.  Noi dobbiamo insegnare ai ragazzi – dai bambini all’università – a usare questo strumento, non averne paura ed essere pronti a crescere con lo strumento, che evolve e noi dobbiamo evolvere con lui.

Non condivido chi pensa che l’AI prenderà il sopravvento su di noi, che questa macchina, che l’uomo ha costruito e che migliora velocemente, debba all’improvviso diventare un pazzo sociopatico.

L’intelligenza di ChatGPT non è paragonabile a quella umana, eppure in qualcosa sono simili: anche l’AI, così come l’essere umano, a volte sbaglia.

 

Sì, è vero, ChatGPT fa errori, anche se in futuro diventerà più efficiente e ne farà sempre meno, ma sbagliare non è la parola esatta. Se si fa una domanda a ChatGPT partendo dalle parole chiave, ChatGPT costruisce tutte le possibili frasi scegliendo quelle che hanno le probabilità più alte. Ogni tanto si ferma e controlla se il discorso è coerente con la domanda fatta. Massimizza probabilità. Invece la creatività, che è tipica dell’essere umano, rileva l’improbabile e lo valorizza; l’originalità rompe i paradigmi, mentre la macchina ha dei paradigmi ben precisi ai quali non può sfuggire.

La creatività, che è tipica dell’essere umano, rileva l’improbabile e lo valorizza; l’originalità rompe i paradigmi, mentre la macchina ha dei paradigmi ben precisi ai quali non può sfuggire.

Abbiamo visto che il binomio “buono o cattivo” non regge, dal momento che stiamo parlando di uno strumento, e anche che non dobbiamo temere scenari fantascientifici di intelligenze artificiali che sostituiscono gli esseri umani o prendono il controllo del mondo. Ci sono comunque degli aspetti legati all’AI che presentano delle criticità e sui quali dovremmo invitare i più giovani a riflettere?

Che modello di società stiamo costruendo? Che ruolo avranno questi giganti che gestiscono l’AI? E non c’è dubbio che questa cosa vada insegnata ai ragazzi. Le debolezze dell’AI sul piano etico sono visibili, così come la mancanza di trasparenza: tutti questi linguaggi sono tenuti segreti, purtroppo gli strumenti di decisione non sono disponibili. Sono stato per tanto tempo professore universitario, e oggi vedo che quello che sta succedendo è che l’università sta perdendo la sua funzione storica di luogo in cui si costruisce il sapere scientifico, che è di tutti. Le macchine, poi, riflettono il parere della maggioranza, non di tutti, e non è detto che sia il parere corretto. Peraltro è vero che la geopolitica giocherà un ruolo, ma il modo in cui sta evolvendo il processo è una partita tra Stati Uniti e Cina, il resto del mondo non conta nulla. L’Europa si è accorta dei problemi etici e ha lavorato sulle regole, ma l’arbitro non vince le partite. Un altro capitolo riguarda la sostenibilità: quanto costa in termini di energia operare con ChatGPT? Inoltre, da non sottovalutare il problema della privacy e della sicurezza de dati: se si addestra l’AI con i dati di una persona questa persona deve essere in grado di capire che cosa si farà di questi dati. Infine, la questione sicurezza. L’uso militare dell’AI è ormai raggiunto. Sarebbe invece importante dare alle macchine parametri che ci interessano: solidarietà, affidabilità, libertà, curiosità e rispetto per l’ambiente.
di Viola Bachini

Mario Rasetti

Mario Rasetti (Torino, 23 luglio 1941) è Professore Emerito di Fisica Teorica al Politecnico di Torino, di cui ha fondato e diretto per molti anni la Scuola di Dottorato. È stato Presidente della Fondazione ISI – Istituto per l’Interscambio Scientifico, ed è consigliere della Commissione Europea. Ha trascorso oltre quindici anni di carriera negli Stati Uniti (IAS Princeton, Los Alamos, CTS Coral Gables, RIM Berkeley, NYU New York), nel Regno Unito (Oxford), in Svezia (CTH) e in Francia (ENS Paris). Ha vinto il premio Majorana 2011 per la fisica dei campi e la medaglia Volta. Si occupa di meccanica statistica, informazione e computazione quantistica e Big Data, ed è attualmente Presidente del comitato scientifico del CENTAI.