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Tornare in classe

Intervista a Umberto Galimberti – filosofo, saggista e giornalista

Tempo di lettura stimato: 4 minuti
12 Gennaio 2024
12 Gennaio 2024

Può raccontarci un ricordo, un evento, un insegnante che ha segnato la sua formazione?

Io andavo male a scuola, sia alle medie sia al liceo, a tal punto che verso la metà della seconda liceo mi sono ritirato e l’anno successivo mi sono presentato da privatista alla maturità. Ho studiato da solo. E siccome alla maturità sono uscito con voti molto alti ho capito che non riuscivo a imparare dagli insegnanti, ma in un certo senso solo “rubarne” la conoscenza. E che studiando da solo avrei raggiunto risultati migliori.
È la mia formazione successiva a esser stata segnata da grandi eventi e dall’incontro con grandi maestri. Il primo è stato, nel 1960, conoscere Emanuele Severino; il secondo evento nel 1963, quando ho conosciuto Karl Jaspers; e l’ultimo nel 1979 quando ho conosciuto Mario Trevi. Il primo è responsabile del mio modo di pensare ma non dei contenuti; il secondo di avermi portato in quella zona di confine tra filosofia e psicologia; il terzo è stato il mio grande maestro di psicanalisi.

Ricorda uno o più compagni di scuola che sono stati o sono ancora importanti nella sua vita?

I compagni di scuola sono compagni di strada. Il mio compagno di banco era colui che poi sarebbe diventato il cardinal Ravasi.

Ricorda un libro che più di altri ha segnato la sua formazione, anche indipendentemente dal consiglio degli insegnanti? E che ruolo ha la letteratura?

Il primo libro importante che ho preso in mano, a quindici anni, è stato Resurrezione di Tolstoj, ma mi è stato sottratto (e stracciato) da mia madre quando scoprì che si trattava della storia di una prostituta e all’epoca ne lessi solo metà.
La letteratura è fondamentale: ti insegna che cos’è l’amore, il dolore, la noia, la paura, il coraggio. E se non impari le emozioni, quando arrivano non sai come gestirle. Quando arriva il dolore, se non lo hai letto, non hai strategie per uscirne. Eschilo diceva che “Il dolore è un errore della mente”.

Rispetto alle generazioni precedenti, che cosa crede abbiano oggi i giovani studenti in più o in meno per affrontare il futuro?

Secondo me hanno qualcosa in meno, dovuto alla povertà linguistica. Il problema è che spesso pensiamo che le parole siano uno strumento per esprimere un pensiero; invece è il contrario. Noi pensiamo in base alle parole che possediamo e non riusciamo a formulare un pensiero per il quale non abbiamo le parole. E allora che cosa succede? Che la povertà linguistica diventa anche povertà di pensiero. Esiste inoltre un degrado nell’esprimere le proprie emozioni, troppo spesso sintetizzate in emoji che a me paiono un ritorno ai disegni rupestri dei primitivi.

Quale crede che sia la sfida della scuola di oggi?

Fare una riforma radicale. La scuola italiana istruisce, quando ce la fa, ma non educa. Educare significa seguire i ragazzi e portarli dall’estremo del bullismo ad avere una risonanza emotiva dei propri comportamenti; insegnare emozioni e sentimenti. Le emozioni non si hanno per natura ma per cultura, si imparano. E per impararli i greci usavano i miti, avevano realizzato nell’Olimpio una scenografia dei sentimenti umani. Noi non possiamo più ricorrere ai miti, ma abbiamo la letteratura.

Che cosa deve cambiare nel mondo degli insegnanti?

Per poter andare in cattedra i professori dovrebbero essere sottoposti a un test di personalità, come si fa in alcuni paesi nordici, in cui si verifica se hanno una componente empatica oppure no.
Se non ce l’hanno non possono fare i professori. Lo dice anche Platone: «La mente non si apre se prima non hai aperto il cuore». E per aprire il cuore i professori dovrebbero anche avere classi piccole, di dodici o quindici studenti, che altrimenti non possono seguire nei loro processi adolescenziali. Ma per seguirli è necessario che i professori abbiano un minimo di empatia e che nella loro formazione si siano confrontati con almeno due o tre esami di psicologia evolutiva. Non si può avere a che fare con persone in età evolutiva e non sapere che cosa stanno passando.
Infine, perché no? I professori dovrebbero fare anche un corso di teatro, perché la cattedra è un palcoscenico. Si dovrebbe spiegare la Divina Commedia come fa Benigni invece di incaponirsi sulla battaglia di Campaldino che allontana i ragazzi dal libro e che finiranno per non leggere mai Dante. La lettura però resta fondamentale. Oggi i ragazzi quel che sanno l’hanno visto o sentito, ma non l’hanno interiorizzato attraverso la lettura.
di Vittorio Bo

©Valerio Aiuti

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, filosofo, saggista e giornalista, è stato allievo di Karl Jaspers. Attualmente è professore ordinario alla Ca’ Foscari di Venezia. Tra gli ultimi suoi saggi, ricordiamo i due più recenti: Il libro delle emozioni (2021) e Che tempesta! (2023), entrambi editi da Feltrinelli.