Può raccontarci un ricordo, un evento, un insegnante che ha segnato la sua formazione?
Io andavo male a scuola, sia alle medie sia al liceo, a tal punto che verso la metà della seconda liceo mi sono ritirato e l’anno successivo mi sono presentato da privatista alla maturità. Ho studiato da solo. E siccome alla maturità sono uscito con voti molto alti ho capito che non riuscivo a imparare dagli insegnanti, ma in un certo senso solo “rubarne” la conoscenza. E che studiando da solo avrei raggiunto risultati migliori.
È la mia formazione successiva a esser stata segnata da grandi eventi e dall’incontro con grandi maestri. Il primo è stato, nel 1960, conoscere Emanuele Severino; il secondo evento nel 1963, quando ho conosciuto Karl Jaspers; e l’ultimo nel 1979 quando ho conosciuto Mario Trevi. Il primo è responsabile del mio modo di pensare ma non dei contenuti; il secondo di avermi portato in quella zona di confine tra filosofia e psicologia; il terzo è stato il mio grande maestro di psicanalisi.
Ricorda uno o più compagni di scuola che sono stati o sono ancora importanti nella sua vita?
Ricorda un libro che più di altri ha segnato la sua formazione, anche indipendentemente dal consiglio degli insegnanti? E che ruolo ha la letteratura?
La letteratura è fondamentale: ti insegna che cos’è l’amore, il dolore, la noia, la paura, il coraggio. E se non impari le emozioni, quando arrivano non sai come gestirle. Quando arriva il dolore, se non lo hai letto, non hai strategie per uscirne. Eschilo diceva che “Il dolore è un errore della mente”.
Rispetto alle generazioni precedenti, che cosa crede abbiano oggi i giovani studenti in più o in meno per affrontare il futuro?
Quale crede che sia la sfida della scuola di oggi?
Che cosa deve cambiare nel mondo degli insegnanti?
Se non ce l’hanno non possono fare i professori. Lo dice anche Platone: «La mente non si apre se prima non hai aperto il cuore». E per aprire il cuore i professori dovrebbero anche avere classi piccole, di dodici o quindici studenti, che altrimenti non possono seguire nei loro processi adolescenziali. Ma per seguirli è necessario che i professori abbiano un minimo di empatia e che nella loro formazione si siano confrontati con almeno due o tre esami di psicologia evolutiva. Non si può avere a che fare con persone in età evolutiva e non sapere che cosa stanno passando.
Infine, perché no? I professori dovrebbero fare anche un corso di teatro, perché la cattedra è un palcoscenico. Si dovrebbe spiegare la Divina Commedia come fa Benigni invece di incaponirsi sulla battaglia di Campaldino che allontana i ragazzi dal libro e che finiranno per non leggere mai Dante. La lettura però resta fondamentale. Oggi i ragazzi quel che sanno l’hanno visto o sentito, ma non l’hanno interiorizzato attraverso la lettura.
©Valerio Aiuti
Umberto Galimberti
Umberto Galimberti, filosofo, saggista e giornalista, è stato allievo di Karl Jaspers. Attualmente è professore ordinario alla Ca’ Foscari di Venezia. Tra gli ultimi suoi saggi, ricordiamo i due più recenti: Il libro delle emozioni (2021) e Che tempesta! (2023), entrambi editi da Feltrinelli.