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Maestri di scuole

Rosa e Carolina Agazzi e la nascita della scuola materna

Tempo di lettura stimato: 5 minuti
16 Aprile 2024

Menti che hanno saputo teorizzare e applicare un nuovo modo di insegnare

16 Aprile 2024

Menti che hanno saputo teorizzare e applicare un nuovo modo di insegnare

Le sorelle Agazzi, Rosa e Carolina, sono state fra le prime educatrici italiane a porre al centro del proprio progetto pedagogico la prima infanzia e a loro si deve l’invenzione della definizione di scuola materna così a lungo usata nel linguaggio comune (e usata in modo scorretto anche oggi, sebbene dal 1991 la scuola dai tre ai sei anni si chiami “scuola dell’infanzia”).

Nate a Volongo, in provincia di Cremona, rispettivamente nel 1866 e 1870, Rosa e Carolina sono maestre e dal 1889 iniziano a insegnare: a Carolina vengono affidati 180 bambini. L’unico luogo abbastanza grande per ospitarli è una stalla. Rosa al piano di sopra segue 73 bambini della scuola elementare. Si spostano a Mompiano, vicino Brescia: anche lì un numero simile di bambini, per i quali viene loro dato del materiale didattico froebeliano, aspramente criticato da Rosa Agazzi nel Congresso Pedagogico nazionale di Torino del 1897, nel quale lancia quello che sarà definito il Metodo Agazzi. Le due sorelle mettono al centro del progetto educativo l’ambiente scolastico, l’igiene personale, e poi l’organizzazione del lavoro che rimanda al lavoro domestico, di cura. Non vi sono materiali didattici tradizionali. Nel 1896 Rosa apre la prima “scuola materna”.
Si contrappongono in modo esplicito al metodo Montessori perché rifiutano l’uso di materiali precostituiti e spingono i bambini a imparare a partire dagli oggetti che trovano nella loro vita quotidiana. Così facendo oppongono all’“ambiente educativo adattato”, che è alla base del lavoro di Montessori e prima di lei di Froebel, l’idea di un “ambiente adatto”. Un approccio che sarà lo stesso di John Dewey, che del metodo Montessori dirà che «pretendeva di avviare gli allievi immediatamente al materiale che, essendo prefabbricato, esprime la distinzione intellettuale che hanno fatto gli adulti».
I materiali da fornire ai bambini sono creta, lana, cotone, paglia e tutti quei piccoli oggetti che possono trovare intorno a sé.

Il nostro museo è quello delle umili cose. […] Le tasche dei bambini rigurgitano talvolta di cose non tutte belle, non sempre nitide, anzi di frequente brutte, sudice e pericolose: scatolette, chiodi, bottoni, pezzi di gomma, nastri, cordelle, frutta, ecc.

Quello delle sorelle Agazzi è senza dubbio un metodo meno ricco di impalcature teoriche, soprattutto se messo a confronto con Montessori, che scrive:

Il nostro materiale per lo sviluppo dei sensi ha una storia sua propria. Rappresenta una selezione, basata su accurati esperimenti psicologici, del materiale usato da Itard e Seguin nei loro tentativi di educare i bambini deficienti e mentalmente menomati, degli oggetti usati come prova in psicologia sperimentale e di una serie di materiali da me designati nel primo periodo del mio lavoro sperimentale.

Nonostante questo rifiuto da parte delle sorelle Agazzi di un discorso meramente teorico, Aldo Agazzi ha messo in luce come entrambe, e soprattutto Rosa nei suoi scritti, abbiano posto al centro del loro progetto educativo alcuni principi:


a) conoscenza del bambino, della sua psicologia e dei suoi interessi;
b) chiarezza dei fini umani e sociali;
c) cooperazione della scuola con la famiglia;
d) applicazione del globalismo e dell’attività pratica, finalizzati all’acquisizione di capacità concettuali e di pensiero;
e) processo educativo nella vita vissuta, avulso da ogni principio di autoisolamento dalla società o dall’educatore.

Quello delle sorelle Agazzi in pochi anni diventa il “metodo italiano”. Giuseppe Lombardo Radice ricorderà la scoperta di questo metodo nel 1910:

Io fui per la prima volta informato del metodo Agazzi come metodo italiano quando noi studiosi regnicoli di pedagogia (e almeno io per mia vergogna), nulla sapevamo di questo italianissimo, fra gli svolgimenti e perfezionamenti dell’educazione infantile; e il comune di Trieste, che seguiva con ansioso cuore ogni progresso della nostra scuola, aveva già inviato a Mompiano di Brescia quattro delle sue maestre perché si impratichissero e trapiantassero il metodo nell’Italia di oltre confine.

Testo di Vanessi Roghi, illustrazioni di Giordano Poloni