Maestri di scuole

Don Milani: la scuola come sacramento

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10 Luglio 2024

Menti che hanno saputo teorizzare e applicare un nuovo modo di insegnare

10 Luglio 2024

Menti che hanno saputo teorizzare e applicare un nuovo modo di insegnare

Lorenzo Milani nasce a Firenze nel 1923. Diventa prete quando la seconda guerra mondiale è da poco finita e l’Italia sta pian piano iniziando la sua ricostruzione. Una ricostruzione non solo materiale ma anche morale, perché il Paese esce da vent’anni di dittatura fascista.

Don Milani proviene da una famiglia colta e laica. La sua mamma, ebrea triestina, è una Weiss – famiglia che ha portato la psicoanalisi in Italia. Suo padre Adriano Milani è il pronipote di Domenico Comparetti, filologo e linguista che alla fine dell’Ottocento ha studiato il problema dell’unità linguistica dell’Italia.

Il giovane Lorenzo Milani non ha alcuna cultura religiosa quando entra in seminario, ma sa che quello della lingua è un problema politico di primo piano. Parlare una lingua, capire una lingua è una chiave di accesso alla cittadinanza. Possedere la lingua significa diventare cittadini sovrani. Così, quando diventa prete, unisce quella che è la sua eredità culturale familiare allo studio del Vangelo e dei testi che circolano nei seminari nei suoi anni, soprattutto quelli dei preti operai francesi. Insieme a Silvano Piovanelli, compagno di corso che diventerà arcivescovo di Firenze, Lorenzo traduce uno dei testi più importanti di questo movimento: France, pays de mission? (1943). Un saggio centrale per capire quale idea di prete abbia in mente il giovane Lorenzo quando viene mandato a prendere servizio a Calenzano, un borgo operaio vicino Firenze. La prima scuola don Milani la apre lì: è una scuola serale per i giovani operai.

La sua attività attira l’ostilità dei cattolici più conservatori, ma anche dei comunisti, che si vedono spiazzati di fronte a questo strano tipo di prete. Per questo nessuno prende le sue difese quando viene mandato per punizione a Barbiana, una minuscola parrocchia del Mugello. Là non ci sono operai, solo famiglie contadine: i bambini non vanno a scuola, devono aiutare nei campi. Così decide di fare una scuola per loro, va a prenderli, casa per casa, e li porta nella sua scuola aperta tutto il giorno ogni giorno dell’anno.

La scuola per lui diventa l’ottavo sacramento. Un’istanza che trae origine da una riflessione sull’educazione del “credente” e si tramuta nella scelta di occuparsi prima di tutto del “cittadino”. Scrive:

Poi domani, se qualcuno di questi montanari dopo aver acquistato la parola, cioè la parità sociale col resto del mondo, vorrà ridonarla al Signore alla Certosa o nel deserto o sui monti, la montagna si ripopolerà, ma questa tappa umana non sarà stata spesa invano. Da bestie si può diventare uomini e da uomini si può diventare santi. Ma da bestie, santi d’un passo solo non si può diventare.

La parola per don Lorenzo Milani è come una soglia: lì ci si può incontrare o ci si può dividere. La soglia accoglie o esclude. Così la parola, che può essere usata come il latinorum di don Abbondio per fregare i “poveri cristi”, o per emanciparli.
Testo di Vanessi Roghi, illustrazioni di Giordano Poloni