Tra le soglie di sicurezza ad oggi superate (sei su nove), c’è anche quella relativa al degrado e al cambiamento dell’uso del suolo, uno degli elementi più preziosi e, al contempo, sottovalutati del nostro pianeta. Una buona educazione ambientale dovrebbe, quindi, occuparsi di restituire al suolo l’importanza che merita.
Ma da dove partire? Come raccontare la sua straordinaria complessità?
Le funzioni di questo fragile strato che ricopre il nostro pianeta sono svariate. Il suolo è anzitutto un formidabile serbatoio di biodiversità: in una porzione di terra vivono e interagiscono miliardi di batteri, funghi, licheni, anellidi e insetti. Questa brulicante rete sotterranea, che ospita oltre il 60% della biodiversità terrestre, è fondamentale per la decomposizione della materia organica, per la fissazione dell’azoto e per la stessa formazione del suolo, nota come pedogenesi. La fertilità del suolo, necessaria per sostenere la riproduzione delle specie vegetali alla base delle reti ecologiche terrestri e della nostra produzione di alimenti, è quindi il risultato di processi in cui gli organismi viventi giocano un ruolo chiave. Una maggiore biodiversità si traduce, infatti, in un suolo più fertile, dalla struttura più porosa e assorbente.
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Da questa struttura dipende un’altra funzione: quella della regolazione dei regimi idrici. Un suolo in buone condizioni agisce come un gigantesco serbatoio, in grado di immagazzinare l’acqua piovana, per poi rilasciarla gradualmente. Questo permette di ricaricare le falde acquifere, sostenere le piante durante la crescita e prevenire l’erosione e il dilavamento superficiali, attenuando gli effetti pericolosi delle precipitazioni per i territori e gli insediamenti umani. Educare al rispetto del suolo, quindi, vuol dire anche approfondire il tema dell’acqua e dell’uso che ne facciamo.
Ma l’importanza del suolo è legata anche al suo ruolo nel ciclo del carbonio. Il suolo accumula carbonio in due modi: tramite le piante, che assorbono con la fotosintesi anidride carbonica dall’atmosfera e la convertono in biomassa, e incorporando la sostanza organica che si genera dalla decomposizione di piante e animali. Questa capacità di stoccaggio rende il suolo il secondo serbatoio di carbonio dopo gli oceani, facendone un elemento imprescindibile per la regolazione del sistema climatico globale.
Una volta compresa l’importanza di questo elemento, diventa più semplice raccontare le conseguenze del suo degrado. L’alterazione del suolo causata delle attività umane, infatti, mette a rischio i sistemi alimentari, la vivibilità dei territori e gli equilibri climatici globali. L’agricoltura e la zootecnia industriali, con l’utilizzo di tecniche di lavorazione pesante, di sovra-pascolo, di monocolture intensive e con l’uso massiccio di fertilizzanti, contribuiscono in maniera determinante alla perdita di fertilità dei suoli e alla loro erosione superficiale, innescando non di rado processi di desertificazione. Sebbene questo modello abbia consentito per alcuni decenni un cospicuo aumento della produzione alimentare, le rese sono oramai stazionarie e spesso non diminuiscono solo grazie a crescenti apporti di sostanze di sintesi, che peggiorano la degradazione in atto, in una sorta di circolo vizioso.
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L’urbanizzazione, poi, con tutte le ramificazioni connesse (infrastrutture viarie, logistiche ecc.), non si limita a degradare i suoli, ma anche a impermeabilizzarli, eliminando praticamente tutte le funzioni che potrebbero assolvere.
È chiaro, dunque, che dobbiamo pensare a modelli di produzione alimentare e di gestione dei territori assai più attenti alla tutela dei suoli.
Tuttavia, questa conversione è complicata da una contraddizione di fondo: mentre l’ecologia del suolo, come quella di altri ecosistemi, si fonda su dinamiche circolari, dove il riciclo degli elementi e l’interazione degli organismi assicurano la rigenerazione delle catene alimentari alla base della vita, i nostri sistemi economici e produttivi si basano perlopiù su dinamiche espansive e lineari, in cui l’esigenza di produrre e distribuire merci prevale sulla rigenerazione della base naturale. Questa distorsione implica un prelievo crescente di risorse dagli ecosistemi sotto forma di energia e materia. E il suolo è tra gli ecosistemi più minacciati da questo prelievo massiccio e indifferenziato.
Sotto i nostri piedi, è bene ricordarlo, si nasconde ogni possibilità di futuro.
Andrea Fantini
Andrea Fantini ha studiato Scienze geografiche, ambientali e agroforestali all’Università di Bologna e di Barcellona. Specializzato in agroecologia, economia ecologica e politiche agroambientali, ha lavorato come ricercatore in Spagna e America Latina. Si occupa di ricerca in ambito socio-ambientale e di comunicazione scientifica. È autore del libro Un autunno caldo. Crisi ecologica, emergenza climatica e altre catastrofi innaturali (Codice edizioni 2023).