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Maestri di scuole

Célestin Freinet, la forza della pedagogia popolare

Tempo di lettura stimato: 4 minuti
16 Aprile 2024

Menti che hanno saputo teorizzare e applicare un nuovo modo di insegnare

16 Aprile 2024

Menti che hanno saputo teorizzare e applicare un nuovo modo di insegnare

Célestin Freinet (Gars, 15 ottobre 1896 – Saint-Paul-de-Vence, 8 ottobre 1966) è stato un maestro e pedagogista francese. Ferito durante la prima guerra mondiale, impossibilitato a svolgere il suo mestiere di insegnante in modo tradizionale, si avvicina all’attivismo pedagogico e immagina di cambiare la vita scolastica a partire da una didattica nella quale il bambino è al centro, non tanto del processo educativo, quanto della costruzione del sapere. 

Attraverso l’uso della tipografia a scuola e quindi di un approccio di “montaggio del testo”, la corrispondenza interscolastica, la creazione dello schedario, uno strumento che sostituisce il tradizionale libro il sussidiario e che è composto da testi selezionati dagli stessi studenti, l’attività scolastica si declina tutta intorno al lavoro della classe, non del singolo.

Ripercorrendo la biografia di Freinet, il maestro Aldo Pettini, fra i suoi primi e più attenti biografi, ha messo in luce come negli anni Venti il pedagogista francese si sia reso conto che i metodi della cosiddetta “educazione nuova” – cioè quel movimento che dalla fine dell’Ottocento ha rinnovato la scuola e di cui è parte il metodo Montessori –, sono applicabili soltanto nelle scuole che possiedono il materiale didattico necessario (spesso costoso), mentre il problema rimane aperto per le scuole diseredate spoglie e polverose. L’attivismo, se vuole vincere la sua battaglia, non può limitarsi a situazioni scolastiche privilegiate. 

Freinet insiste sul fatto che la parola chiave dell’educazione deve essere tâtonnement, procedere a tentoni. L’esperienza procede per tentativi ed errori (trial and error). Nessuno può fare per noi le nostre esperienze, dice Freinet, ma l’individuo non può essere lasciato solo nel compierle. Abbandonati a loro stessi, i bambini sarebbero costretti a ripetere le stesse esperienze, a ripercorrere strade già percorse da altri, con gli stessi rischi di errore.

Ma, si domanda Freinet, come è possibile intervenire nel processo personale di esperienza? Come talvolta le strade di campagna sono provviste di staccionate sulle quali ci si può appoggiare, se c’è necessità, ma che si possono scavalcare senza sforzo per andare a correre nei prati, così un ambiente educativo non dovrà mancare di quelli che Freinet chiama i “soccorsi barriera”, non troppo lontani non troppo vicini, affinché i bambini conservino spazio sufficiente per muoversi liberamente. 

L’adulto, insomma, è indispensabile ma in funzione strumentale. Un’immagine perfettamente restituita da Gianni Rodari, che di Freinet è stato attento lettore e appassionato interprete:

Chi punta sullo spontaneismo non si preoccupa di aiutare il bambino: gli basta lasciarlo fare, vada dove vada. Puntare sul bambino è diverso, impone attenzione, spirito di servizio, impegno costante a essere, per lui, le cento cose di cui ha bisogno: il compagno di crescita, di gioco e di scoperta, l’animatore, l’esperto, il potere che gli procura gli strumenti che gli servono, l’adulto che lo provoca, gli rivela nuovi orizzonti, nuove direzioni di movimento. Noi siamo i gradini della scala che il bambino sale. Non c’è niente di mistico, in questo. Di fatto siamo quei gradini anche quando non ce ne accorgiamo: allora, s’intende, siamo gradini sconnessi, pericolanti e pericolosi.

Per concludere possiamo allora dire che per Freinet la scuola non è tempio ma cantiere, l’adulto è indispensabile, il sapere è sempre plurimo e in relazione con la vita.

Testo di Vanessi Roghi, Illustrazioni di Giordano Poloni